PARAFRASANDO QUA E LÀ

Spaccato di varia Umanità, interpretato nel segno del buon senso, della propositiva ironia, del fare "Pro", giammai del fare "Contro".

Parlare di “Onda lunga” non è sempre uno slogan e neppure uno stereotipo comunicazionale: è, nella fattispecie, l’esito di modelli di riferimenti, evidentemente non del tutto corretti, né adeguati e funzionali, che hanno segnato, nell’ultimo ventennio, l’impianto delle agenzie formative e della comunicazione.

Ma, di quale “fattispecie” si parla? A cosa si allude? Ebbene, la “fattispecie” è quella della graduale induzione di paradigmi di comportamento culturale e formativo che hanno privilegiato modelli formativi e di studio piuttosto “liquidi” (di importazione da mondi e contesti che semplicisticamente si annoverano tra quelli “anglo-sassoni”) rispetto alle più consolidate strutturazioni cui la migliore “scolastica” italiana aveva attribuito, nel corso del tempo,  valore ed autorevolezza. Oggi, i media denunciano, ridondandone la significanza a diversi livelli, l’inadeguatezza della conoscenza della lingua italiana che connota giovani e meno giovani, segnando il passo di costoro verso una grigia prospettiva di “ignoranza di ritorno” improntata soprattutto sull’approccio assai modesto che generalmente connota l’approccio di percentuali sempre più rilevati di persone nei confronti della conoscenza di base della lingua italiana. Ebbene, arriviamo al concetto di “Onda lunga”: trattasi della ricaduta, a lungo termine, dell’erosione dei modelli di divulgazione e formazione di tipo “scolastico”, appartenenti alla migliore tradizione italiana, che sono stati sistematicamente sostituiti con modelli evidentemente poco utili, né tanto efficaci se, il termine dei rapporti, è quello dell’apprezzamento quali/quantitativo delle competenze linguistiche mediamente riscontrabili!

Tanto detto, il denunciato decadimento dei livelli di acculturizzazione e conoscenza della lingua di base da parte dei più, non è indipendente dalle recenti modalità di insegnamento della lingua italiana, proteso ormai più verso la creazione di “strutture ed architetture di metodo”, che però risultano astratte e di irrilevante significanza, mentre l’esercizio della lingua, nella prospettiva dello studio sistematico delle parti della lingua stessa e nella pratica della medesima, è via via decaduto, diventando solo “felice” ricordo di chi è consapevole della deriva in atto.

Ebbene, ecco gli esiti di tale decadimento: non più studio della grammatica e dei verbi, esecuzione di tracce di temi, riassunti e commenti scritti e orali, ricerca e memorizzazione di vocaboli per arricchire il lessico: solo abbandono dello studio lineare e sistematico della Letteratura, degli autori, dell’ Antologia e della relativa critica e l’adozione,   d’imperio, di  forme esasperate di prove strutturate, quiz, prove d’ingresso, costrutti retorici ricadenti  in imprecisabili definizioni pseudo pedagogiche dai nomi altisonanti benché di debole sostanza, ostentazione di innumerevoli descrittori che non raramente si traducono in vacuità lessicali  (Unità formativa, UDA, Compito di realtà, etc…), travisati e sminuiti nel loro autentico significato, laddove è venuto meno il concetto di “studio” quale “momento di apprendimento cognitivo individuale guidato dal Maestro”.  

Carissimi lettori, oggi, non è consentito parlare di “Programma”, di “Argomenti”, di “Contenuti”, di “Vocaboli”, di “Svolgimento di un tema”, di “Esposizione orale”, senza esser culturalmente ripudiabili, mentre ci rafforza l’indifferenza, l’insensibilità la “beata ignoranza”

Terapia? Eccola: che a scuola si ritorni a fare scuola, permettendo così a tutti (ed a ciascuno) di acquisire gli strumenti della conoscenza.

In primis, quelli della Lingua Italiana.

L’alternativa? Degrado, solo degrado culturale e sociale.

Ci piace tutto questo? Ce la sentiamo di assumerci, come società, tale gravosa responsabilità per tutto il nostro Sistema/Italia?

                                                                                                                             Giancarlo Caroleo