PARAFRASANDO QUA E LÀ

Spaccato di varia Umanità, interpretato nel segno del buon senso, della propositiva ironia, del fare "Pro", giammai del fare "Contro".

In tempi di crisi, si dice, tutto è in crisi. Anche ciò che non ha costi economici. Il “tifone crisi” trascina ogni cosa: anche in Buon senso! E, questo, non ci deve far meravigliare, perché il “Buon senso”, per così dire… segue i tempi! Certamente, l’idea che il “Buon senso”, come categoria del “Saper essere”, possa rapportarsi dai tempi, in sé è cosa giusta: la mentalità è la proiezione della storie e delle storie dell’uomo e delle comunità.

Ma, in un’ottica più speculativa, ci si aspetterebbe che il “Buon senso” , per lo meno in lassi di tempo relativamente ampi, rimanesse una costante positiva del pensare a cui fare debito riferimento. E, cioè, che la gestione delle cose avesse una “linea ideale comune e condivisa dal senso comune” che, convenzionalmente, si definisce, appunto, “Buon senso”.
Ma, in particolare, cosa mai potrebbe essere o rappresentare tale categoria? E’ possibile intravederne, nel suo intrinseco valore, valenze oggettive che siano tali e tante da rappresentare un “collettore” di aspettative, di metodiche, di giudizi di valore precipui, omnicomprensivamente definibili? Queste sono domande di difficile soluzione, che implicano a monte una prospettiva ben delineata di valutazioni e di costrutti di riflessione impegnativi, sia sul versante della logica, sia a livello del “sentir comune” e, tuttavia, queste implicano, pure, definizioni di risposte eterogenee e plurime. Resta, tuttavia, il fatto che intorno al concetto di “Buon senso”, sia possibile correlare azioni, determinazioni, valutazioni spicciole e più progressive, giudici nel merito delle varie questioni che accomunano larghe fasce di persone. Ad esempio, è “cosa di Buon senso” spendere poco in tempi di crisi, ma è anche “cosa di Buon senso” spendere bene e, perché no, anche poco in tempi di ricchezza; così come rappresenta un fatto di “Buon senso” (sempre sull’esempio dello spendere…ahimè nota dolente di questi periodi…) spendere di più in tempi di crisi al fine di creare le condizioni per lo sviluppo, ovvero spendere con più oculatezza e per cose “veramente importanti”, sempre! Qui, dunque, subentra la valutazione “nel merito”: cosa significa “cose importanti” o “veramente importanti”? Fino a che punto la “gamma dell’ importante” si può tradurre in “graduatoria di priorità” e, soprattutto, su quali criteri la si può determinare? Ancora: le priorità si inscrivono più adeguatamente in un quadro riferibile a bisogni fisici e materiali, oppure relativamente a bisogni intellettuali e spirituali per così dire? Cioè, è più “Buon senso” soddisfare bisogni materiali fine a se stessi o “funzionali a…”, oppure partire dalle necessità intellettuali (intese come sistema valoriale di riferimento di tipo etico, morale ed esistenziale, a diversi livelli) quali conditio sine qua non per poter affrontare adeguatamente i contesti al fine di promuovere tutte le forme di sviluppo che sono, a loro volta, presupposto per soddisfare anche i “bisogni materiali”? La questione è e resta aperta: non v’è dubbio che valutazioni dipendano dalle posizioni e dalle prospettive che ciascuno traccia. Resta un fatto: il concetto del “Buon senso” è un “luogo comune di pensiero” che, nei suoi molteplici livelli di esplicazione, si estende quale minimo comune denominatore in un società sistemica complessa che necessita, sempre, di “punti di convergenza”, ovvero di tracce ideali da perseguire, per finalità comuni, quale può essere, per tutti, il miglioramento della qualità della vita. Unico enigma: che cosa s’intende per tale assunto?
Risposta: ognuno si regoli secondo il proprio e/o l’altrui “Buon senso”!