PARAFRASANDO QUA E LÀ

Spaccato di varia Umanità, interpretato nel segno del buon senso, della propositiva ironia, del fare "Pro", giammai del fare "Contro".

E’ l’antico detto che per secoli ha fatto scuola: ognuno ha i suoi gusti. Essi sono indiscutibili! Ebbene, pare che nel tempo del post post industriale, alcuni orientamenti che vengono da lontano e che si sono perpetuati in divenire, rappresentandosi quali pietre miliari che conducono ciascuno, nel proprio cammino, alla giusta meta, si stiano disgregando, a causa della superficialità. Il perché di tanto?


L’occasione nasce dalla quotidianità. Dall’osservazione di alcuni processi di relazione che portano in sé degli aspetti che hanno qualcosa di decadente, allorché si manifestino in maniera stucchevole e impropria. L’occasione, questa volta, è rappresentata dal come ci si accinge a valutare cose e fatti, secondo criteri dettati sempre più spesso da forme esasperate di giudizio, meglio riconducibili a dei “luoghi comuni” (com’è solito definirli). E, ragionando del bello e del brutto, ancorché di ciò che piace all’uno o all’altro, si rischia di fraintendere categorie estetiche ed ideali fondamentali e comunemente acquisiti, con pregiudizi formali e sostanziali. Il ché, filtrato nelle relazioni della quotidianità, traducendosi in prassi comunicativa e di merito, definisce gli orientamenti più comuni che, anziché divenire liberatori (e formativi), appaiono restrittivi e vincolanti.

Ma, ci si chiede, a questo punto, quanto detto, a che pro?

Ecco il fatto. Chiunque si trova nelle condizioni di dovere scegliere un oggetto da acquistare. Ad esempio un manufatto di decorazione per interni. Ebbene, è prassi che la persona selezioni l’oggetto in base a dei criteri che egli stesso struttura: utilità, bellezza, funzionalità, costo, etc. A questo punto, si elabora la dinamica scelta/azione di acquisizione (tramite l’acquisto).

In questa fase, delicata più che mai, subentra la serie di quei “luoghi comuni” summenzionati che, anziché catalizzare il processo di acquisizione dell’oggetto, lo complicano e ne condizionano le dinamiche. Infatti, per ragioni sulle quali sarebbe utile oltreché necessario riflettere, la scelta selettiva dell’attore (chi, cioè, deve scegliere per acquisire l’oggetto…) si scontra coi paletti che i “luoghi comuni” sopra indicati impongono. Ogni categoria merceologica si definisce in livelli di “bellezza e qualità” che non sono graduati da chi può scegliere, bensì, sono già belli e predefiniti dalla filiera di provenienza. Un orologio, una mattonella, un sanitario, un frullatore…

A monte esistono già categorie di tali (o di altri) oggetti più o meno belli o più o meno buoni che si definiscono come tali, come se gli altri, della stessa specie, non fossero nemmeno degni di essere menzionati, anche se pure essi, messi… a disposizione per la scelta. C’è già qualcosa di assolutamente bello e buono sul quale non si discute. E’ così e basta. E che, se non scelto, mette in evidenza una presunta incompetenza di chi non lo sceglie, rilegandolo come colui che non capisce, che non sa valutare, che non riesce a scegliere il meglio, come chi…non apprezza perché non conosce.

Mi chiedo se tali metodiche di relazione siano ammissibili. Se, cioè, le dinamiche della relazione possano rischiare di tradursi in condizionamenti sottili, ma penetranti, camuffati da una sorta di perbenismo di sorta fondato su debolissimi presupposti di indicazione di qualità.
E, anche se così fosse, si tratterebbe di sola “qualità” (ribadisco presunta) dell’oggetto che sarebbe più o meno opportuno scegliere, a discapito della qualità della relazione, cioè del venir meno del rispetto nei confronti di chi ha facoltà di scegliere questo o l’altro oggetto!

In altri termini, c’è da decidere se scegliere l’omologazione, anche se di livello alto, al riconoscimento della pluralità delle scelte; il riconoscimento della libertà di ciascuno che può tradursi anche nel voler scegliere di acquistare un oggetto merceologicamente meno apprezzabile (!), all’imposizione di doversi orientare verso determinate categorie di cose, sol perché “se si fa così…” si riscontra il consenso di chi le propone, mentre in caso contrario si subisce l’impercettibile, talvolta non tanto impercettibile, dissenso di chi consiglia…un po’ troppo? Vi pare?