Emergenza cronicizzazione del degrado sociale: ben vengano i principi e le geometrie giuridiche, l’invocazione dei valori positivi e le pratiche educative alla legalità. Ma, conditio sine qua non è, e resta, ciò che potrebbe essere paragonato ai “Rimedi della nonna”.

Cosa? Presto detto: il lavoro. Il lavoro per tutti, nessuno escluso!
E così, in una comunità  in cui, si ribadisce tutti, ovvero nessuno escluso, siano messi nelle condizioni di lavorare, a stretto giro si registrerebbero straordinari esiti di positività: calo e non pressoché azzeramento degli indici delinquenziali e delle forme di degrado, mentre contestualmente si ricostituirebbero quei livelli di benessere e sviluppo così tanto invocati e legittimati nella loro valenza esistenziale che trova ragioni primarie negli assunti costitutivi del nostro Stato, così come il pressoché azzeramento del clientelismo, del sistema delle raccomandazioni e della corruzione, dei contenzioni in materia giuslavoristica correlati ai licenziamenti.
Di riflesso, si conseguirebbe un rilevante risparmio di risorse umane ed economiche da riutilizzare per creare sviluppo.
Chicchessia (politici nazionali e sovrannazionali,amministratori, economisti, manager), ripeto, invocano il sano principio della “massima occupazione”, laddove la nostra Carta è proprio improntata sul Lavoro (Art.1) , principio che, a dire di chi è esperto in materia, assume una valenza epistemica di ampio raggio, senza connotarsi di limitazioni alcune! E, dunque, di contro, il Lavoro è invece una chimera, un traguardo quasi impossibile da realizzare, un sogno che accompagna la vita e le speranze di chi si ritrova  a sopravvivere di stenti, espedienti e degenerazioni conseguenti perché non riesce ad inserirsi e trovare alcuna occupazione, di rango o meno, prestigiosa o non prestigiosa…insomma niente di niente. Di fatto siamo allo sbando e le prospettive non sono rosee: percentuali altissime di disoccupati, inoccupati e gente che rinuncia a cercarselo il lavoro, ormai avvilita dalle quotidiane sconfitte, persone di ogni età che rappresentano così l’onta più profonda del nostro vissuto: numeri che quotidianamente lievitano, sono ormai la cronaca. Giovani, adulti, anziani: tutti a rischio. Anche chi ha un lavoro teme di perderlo, compresi quelli che una volta erano più al sicuro: gli impiegati pubblici. Anche loro, per il grande prodigio della burocrazia più becera, sono passati dall’essere “di ruolo nei ranghi dello Stato” all’essere “a tempo indeterminato” (come per dire che “sei assunto, certo, ma non per sempre, bensì fino a data da stabilirsi…”. Sicché, al pullulare di provvedimenti e decretazioni eccezionali, non c’è rispondenza, e disoccupati e non occupati sono sempre di più e, per giunta, senza prospettiva, senza futuro, senza possibilità: ecco la triste realtà di quello che dovrebbe annoverarsi tra i Paesi più moderni...
In fondo, il “disgraziato” di turno (ovvero, colui che è fuori da “grazia ricevuta” per essere occupato o, in molti casi, male occupato), cosa chiede? Chiede di lavorare, cioè prestare il proprio operato e, dunque, cedere una porzione considerevole della propria esistenza biologica, in cambio di una riconoscimento economico e di posizione che gli permetta di vivere, od meglio sopravvivere (esistono, infatti, molteplici forme di contratti, tra i quali, quelli a numero di ore a scartamento ridotto)E’ legittimo chiedersi se il Lavoro rientri o meno nel novero dei “Diritti esistenziali” cui beneficiare concretamente e non solo in linea di principio che, spessissimo orami non trova reale soddisfacimento di ogni singola persona, in una società che vanta di essere moderna e civile, oppure no?
Un essere umano, messo al mondo, che all’atto della nascita assume il connotato di Persona, con tanto di diritti e doveri, è oppure non è legittimato a pretendere di essere messo nelle condizioni di lavorare,fin dal raggiungimento della maggiore età? E ciò, sempre, anche nei casi in cui quella Persona non dovesse contraddistinguersi per essere “bravo e meritevole”, oppure “in possesso delle competenze tipiche di una società avanzata”. In fondo, chicchessia, ha o non diritto a sopravvivere? Ma, a fronte di tale interrogativo, scatta il sopraggiungere della “colta” risposta. Ovvero: “…c’è la crisi congiunturale… esistono le procedure concorsuali… oggi si premia la competenza… per trovare occupazione basta andare all’estero….” e, di seguito, a tante altre “tarantelle” congeneri!
Pertanto: chi vive (e non per sua colpa) o tempo di crisi congiunturale (che, di fatto, nessuno sa che cosa oggettivamente essa sia), chi non ha competenze (quelle che “qualcuno” ipse dixit ha definito dovere essere tali), chi non si sente di andare all’estero (e, cioè chi aspira legittimamente a vivere dove è nato, e cioè dove ha le radici, vicino al padre, alla madre, ai fratelli, ai parenti, agli amici), chi, insomma, non è “in linea” con il cervellotico paradigma di cui sopra, non potrà vivere e sarà privato del diritto di esistere come Persona soggetto di diritti e di doveri?
Non so. Si dia una risposta, congrua, però!
Saltavo un passaggio, vitale: all’omessa domanda (retorica), del “come fare”, subito la risposta. Eccola:
“Piano di assunzione integrale per tutti, a partire dal termine degli studi secondari di II grado, ovvero di studi successivi, con 1.000,00 euro al mese e con obbligo di accettazione, salvo rinuncia e conseguente decadimento dal diritto. Il tutto, per mansioni varie, del tipo Manutenzione del territorio, degli edifici pubblici, dei beni sociali; Vigilanza di minori; Assistenza anziani, ammalati, persone con disabilità; Animazione; Recupero giardini, orti e colture; Supporto alle istituzioni pubbliche in ogni forma possibile e immaginabile… etc, etc, etc!
Tanto, non come “reddito di cittadinanza” imbrigliato tra i mille rivoli di una burocrazia fastidiosa e fine a se stessa, che appare più come mera regalia collegata a cervellotici passaggi di verifiche patrimoniali e pseudo tali, bensì come principio semplice e lineare: “A te maggiorenne, io Stato ti assumo con stipendio reale di 1.000,00 euro più correlata contribuzione. Ti pago decentemente e sarai alle mie dipendenze. Ti faccio fare ciò che necessita. Non starai con le mani in mano, guadagnandoti quanto percepito, mentre già inizi a contribuire per la tua stessa pensione. Questo, fino a quando non troverai di meglio. Intanto, azzero la disoccupazione e rendo a tutti i cittadini la loro dignità”.
Ma, tutto questo, si vuole veramente? Oppure no?